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PellegriViaggio in Palestina/2

Aida Camp. di Rosetta Placido. Partiamo da Betlemme per andare all’Aida Camp, un campo di rifugiati. Il taxi ci lascia accanto al muro che separa Israele dalla Cisgiordania incuneandosi nei territori occupati. Davanti a noi un imponente arco-porta a forma di serratura sormontata da una gigantesca chiave, simbolo della Nakba, per i palestinesi la catastrofe, per gli ebrei la creazione dello stato di Israele.

Ci accoglie il Direttore del Centro giovanile, un uomo di mezza età, ha speso la sua vita nella resistenza nonviolenta e ci dice: – Ciascuno ha le chiavi della casa dove abitava, perché vogliamo ricordare e abbiamo Diritto al ritorno secondo l’Onu. All’inizio noi rifugiati non volevamo la costruzione di case in cemento perché avrebbe reso permanente il campo, ma l’Unrwa organizzava il campo e gli Usa costruivano le case. Proveniamo da 27 villaggi dell’area sud di Gerusalemme. Per l’Onu sono rifugiati tutti quelli che provengono dai villaggi distrutti e i loro discendenti, per Israele e gli Usa solo quelli nati nei villaggi, chi è nato nel campo non dovrebbero essere considerato rifugiato.Lungo il muro che divide il campo dai terreni di ulivi è dipinta una fila di uomini, rappresentano i detenuti politici nelle carceri israeliane dal 1993. Attualmente sono in carcere 10.000 palestinesi. Più di 33.000 persone hanno trascorso oltre 40 anni in carcere. Il direttore è stato arrestato da Israele anche se risiede in area A, quindi sotto il controllo dell’Autorità Palestinese per due post su facebook.

Sul tetto di un edificio, dove ci conduce, scorgiamo i serbatoi in plastica per conservare l’acqua che viene erogata in maniera intermittente, ci dice: “ Sulle case dei palestinesi ci sono i serbatoi, su quelle degli israeliani no”. In lontananza sulle colline si estende un insediamento israeliano, in basso serpeggia il muro attorno al campo profughi, creando separazione dagli uliveti. Per andare a raccogliere le olive devono avere un permesso speciale della durata di 3 mesi, rinnovabile non automaticamente. Ci addentriamo nelle strette stradine tra gli edifici che crescono in altezza per adeguarsi ad accogliere le famiglie dei figli e dei nipoti. Lungo un muro un murale racconta la vita anteriore al 1948 liberi di coltivare gli ulivi, la vita all’aperto in un piccolo paese poi giungono i militari ed arriva la perdita, la distruzione, l’allontanamento dalle proprie case. In un altro angolo una scritta “we will return” (noi torneremo), l’elenco di nomi dei villaggi di provenienza dei rifugiati accanto ad una cartina della Palestina prima del 1948 dipinta con i colori della bandiera palestinese. Una giovane donna che cammina saluta la nostra guida, si ferma ci spiega che suo marito è in un carcere israeliano da molti mesi, non può visitarlo o ricevere notizie. La nostra guida le fa coraggio con la tristezza nello sguardo e nel cuore perché conosce le condizioni del trattamento carcerario.

Più avanti una piccola vetrina di oggetti di artigianato attira la nostra attenzione, entriamo orecchini, portachiavi, ciondoli, immagini su tavolette d’olivo da appendere ecc., il ragazzo addetto alle vendite, ci spiega che sono realizzati con i resti dei lacrimogeni, bombe, granate lanciati nel campo dai militari, ci mostra un cilindro metallico, resto di un proiettile con la scritta MADE IN USA.

Di fronte entriamo nel Centro giovanile Aida Camp. Uno spazio per molte attività: musica, aiuto allo studio, cinema, esercitazioni per coltivare buoni rapporti con il vicinato, organizzazione di escursioni e corsi di nuoto, festival di fine anno, banchetti, ecc.Un centro vivace in cui si cerca di reagire creativamente e pacificamente alle tante limitazioni. Un filmato ci mostra un treno di legno e cartone realizzato a grandezza naturale con cui i giovani hanno tentato di percorrere le vie fuori dal campo, i militari lo hanno fermato. La tristezza dello sguardo abbandona la nostra guida quando ci mostra i filmati e le foto delle attività realizzate, attimi, cerchiamo di dare qualche parola di speranza ma non è facile, solo un grande miracolo potrà restituire una vita libera, dignitosa alla sua gente. Uscendo dall’Aida Camp la sensazione è quella di uscire da un ghetto, incredibile che chi ha vissuto discriminazione e confinamento infligge ad altri lo stesso trattamento. Assurdo. L’Aida Camp all’inizio era un campo messo a disposizione dalla signora Aida per le tende dei palestinesi scacciati. L’Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) ha organizzato nel 1950, nel territorio della Giordania, come in altri luoghi, questo campo per 1200 rifugiati provenienti dai villaggi rasi al suolo nel 1948 dal nascente stato israeliano. Nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni, il campo si viene a trovare in Cisgiordania, territorio occupato da Israele.In seguito agli accordi di Oslo, 1993, il campo si ritrova in zona A, sotto il controllo dell’autorità palestinese, mentre parte della sua periferia, come la strada principale che costeggia la Barriera, cadde sotto il controllo israeliano (Area C). Nel sito dell’Unrwa si legge: “ Il campo si trova tra i comuni di Betlemme, Beit Jala e Gerusalemme. È parzialmente circondato dalla barriera della Cisgiordania ed è vicino a Har Homa e Gilo, due grandi insediamenti israeliani illegali secondo il diritto internazionale. Questi fattori, insieme alla costante presenza militare e alla vicinanza dei campi al posto di blocco principale tra Gerusalemme e Betlemme, hanno reso il campo vulnerabile a una serie di preoccupazioni di protezione. Questi includono incursioni regolari da parte dell’esercito israeliano, scontri che coinvolgono i residenti del campo, molti dei quali sono bambini, e un numero crescente di feriti a causa dell’eccessiva forza da parte dell’esercito israeliano.Dopo gli accordi di Oslo, la maggior parte del campo di Aida cadde sotto il controllo palestinese (Area A), mentre parte della sua periferia (come la strada principale che corre lungo la Barriera) cadde sotto il controllo israeliano (Area C). Come risultato della Barriera e del suo regime associato, i residenti hanno ora un accesso limitato alle opportunità di lavoro in Israele e Gerusalemme Est. ” Il campo di Aida copre una piccola area di 0,071 km 2 che è insufficiente per ospitare la crescente popolazione che è diventata di 7.100 persone. In Cisgiordania esistono 871.000 rifugiati registrati che vivono in parte in 19 campi profughi. La maggior parte degli altri vive in città e villaggi della Cisgiordania.