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PellegriViaggio in Palestina/3 – la catastrofia

A Taybeh. Di Nandino Capovilla.

15 giugno 2024 – La catastrofia dal 1948 ad oggi

Noi certamente non ci pensavamo che quel sabato 15 giugno fosse il 250° giorno di guerra ma lui, il novantunenne patriarca emerito di Gerusalemme, S. B. Michel Sabbah che abita a Taybeh, l’aveva scritto quella mattina nell’incipit della sua preghiera quotidiana composta all’alba e affidata con una mail a chi in Paesi diversi del mondo avesse potuto divulgare una testimonianza diretta di denuncia rara nella sua coraggiosa parresia:

“Troppo è durata l’oppressione impostaci dagli uomini a Gaza, Signore. Sono accecati, ostinati, senza cuore e senza umanità. Salva tu questa umanità perduta nello sterminio e nel genocidio e fa tua la nostra fame, la nostra sete, le nostre malattie, la nostra morte”. (Michel Sabbah, 15.06.24)

Ma se dal 7 Ottobre avevamo potuto leggere in Italia tutte le sue centinaia di preghiere come questa, essere qui oggi, proprio a Taybeh, con un gruppo di una trentina di pellegrini, era un’opportunità unica: stare a tu per tu con il patriarca in questo villaggio cristiano vicino a Ramallah.

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Dopo aver attraversato la zona a nord di Gerusalemme, piena di insediamenti israeliani, tutti illegali, siamo arrivati al villaggio e con calore accolti dal parroco Abuna Bashar Fawdleh

Benvenuti a Taybeh! Ma la nostra Palestina è questa prigione che vedete. In realtà è sempre più difficile vivere per noi sulla nostra terra se da decenni è stata occupata e colonizzata. Infatti ben prima del 7 ottobre non solo la guerra ma anche la mancanza di diritti e ogni tipo di oppressione, ci tolgono ogni speranza. La nostra “catastrofia” [don Bashar intende la “catastrofe”= “Nakba” del 1948] dura da troppi anni perché per noi palestinesi non c’è una vita quotidiana normale, senza check-point, attacchi dei coloni e soprusi. Qui attorno a Taybeh sono ben quattro gli insediamenti da cui i coloni scendono per aggredirci, rovinarci le coltivazioni e le proprietà. I coloni purtroppo sono completamente liberi nell’aggredire le famiglie che raccolgono le olive e ogni settimana si verifica un nuovo attacco, con bastoni, fucili, armi, contro chiunque. Il punto è che fino a quando ci sarà l’occupazione non ci sarà futuro per noi.”

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La grande ospitalità della comunità e delle suore, che lamentano la mancanza totale di pellegrini da Ottobre scorso, non può non essere al centro dell’Eucarestia che celebriamo nella chiesa parrocchiale.

Ma sul pullman del ritorno, passando per il check-point di Kalandia ed arrivando a Gerusalemme, in ognuno di noi sono soprattutto le fortissime parole del patriarca Sabbah a risuonarci dentro. Era arrivato affaticato ma luminoso nel grande salotto arabo della parrocchia e ci aveva rivolto un grande discorso, un’analisi politica e una supplica di fede che stiamo sbobinando:

Oggi la guerra non è solo a Gaza. In tutta la Palestina i villaggi e le città sono nelle mani dei coloni che, protetti dall’esercito, aggrediscono, demoliscono, ammazzano o fanno prigionieri. Sì, perché nessuno dice, ricordando gli ostaggi israeliani, che ci sono migliaia di palestinesi arrestati e prigionieri dal 7 Ottobre. Quando viene ucciso un israeliano se ne parla giustamente con grande eco, ma se mille palestinesi vengono uccisi o fatti prigionieri, non se ne parla nei media, come fosse normale. La coscienza dell’umanità ha questa grande responsabilità.

Vi ringraziamo che siete venuti per esprimere la vostra solidarietà con la persona umana che vive in Terra santa, sia israeliana che palestinese. Vi chiedete come si possono riconoscere e amare reciprocamente gli uni gli altri, invece di ammazzarsi. E’ importante annunciare che la riconciliazione non è solo una questione complessa ma anche un problema relativamente semplice: È difficile e complesso solo perché non c’è la volontà di trovare la pace. Noi palestinesi non veniamo da altrove, di generazione in generazione abitiamo la nostra terra. Sula nostra terra chiediamo solo di poter vivere liberi in uno stato indipendente soltanto sul 22 % di tutta la Palestina. Ma ci viene detto: voi non avete il diritto di esistere.

A Gaza non c’è solo una guerra. Passano i mesi e il mondo si sta abituando al massacro ma ha la memoria corta e pochi ricordano quante volte negli ultimi anni, i luoghi stessi, tutti i villaggi e le città di Gaza, sono stati devastati e massacrati: una volta, due volte, infinite volte. Il mondo si è abituato all’uccisione di migliaia di palestinesi, perché non si accorge che non contano come gli altri esseri umani. Le parole diventano importanti di fronte alla realtà perché quello che accade non è una calamità e neanche solo un massacro, ma un genocidio.

E poi, adesso che siete arrivati fino a qui attraversando la Cisgiordania, venite a sapere che anche nei territori Occupati c’è la guerra e quando tornate in Italia dite che anche qui l’esercito e i coloni ammazzano e demoliscono. Senz’altro il parroco ve l’avrà detto: qui non c’è solo una guerra ma un massacro, fratricida, con violenze che subiamo ogni giorno nelle nostre terre, nelle case, nelle città e nei campi profughi.

Noi siamo in attesa che Dio pronunci la sua parola di verità su quanto sta accadendo. Dio ci vuole qui, come cristiani e come palestinesi. Nella nostra casa. Noi continuiamo ad amare tutti, israeliani, ebrei, musulmani, coptitutti quelli che vivono accanto a noi. Viviamo già insieme e dobbiamo smetterla di farci la guerra per riconoscerci tutti fratelli, uguali e con gli stessi diritti. Noi palestinesi continuiamo a subire questa oppressione ma siamo certi che l’ultima parola sarà l’amore.