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PellegriViaggio in Palestina/7

di Rosetta Placido

Riflessioni libere su Israele

Tre immagini mi hanno colpito e cercherò di restituirle.

Aeroporto Ben Gurion ripartenza per l’Italia, molto affollato di israeliani che forse andavano in vacanza. Uomini con i tipici riccioli alle basette, cappello nero a falde larghe, soprabito nero abbottonato anche con 40°, pantaloni e scarpe nere. Una donna in particolare ha richiamato la mia attenzione, aveva un’espressione di profonda infelicità spingeva due grosse valigie, seguiva il marito più anziano che spippolava con il cellulare, lei abito lungo, scarpe basse, parrucca.

Altro frame. Per strada a Gerusalemme i ragazzi ortodossi (riccioli e cappello) vestiti di nero camminano a gruppi con spavalderia. Due anni fa quando sono venuta in Palestina abbiamo incrociato alcuni ebrei ortodossi ma erano tutto sommato pochi e non giovani, adesso ho visti tanti giovani; che siano convertiti o abbiano scelto questa particolare comunità ebraica per evitare il servizio militare?

Altro frammento a Neve Shalom mentre vagavamo per capire se ci fosse qualcuno e dove fosse la tenda incrociamo un gruppo di ragazzi e ragazze, qualcuno di noi chiede: “Siete italiani?”

Ci rispondono “No, she ….” indicando una ragazza che si avvicina e ci chiede: “Siete tutti italiani?”

Eravamo una trentina, alla nostra risposta affermativa, lei cambiando totalmente espressione esclama preoccupata “Un’invasione!” Qualcuno le chiede se è ebrea e lei replica “Sì sono tra i pochi che restano”.Uno di noi insiste: “Comportatevi bene” Lei replica con aria sempre più rabbuiata “Hai qualche dubbio?”

Ho avuto una strana sensazione che lo spirito che attraversa la popolazione israeliana è di timore per cui sono aggressivi e sfrontati, tendenti ad incutere paura. Questo si vede anche durante i controlli in aeroporto e ai check-point.

La pericolosa impunità di cui godono li ha convinti che sono loro le vittime sempre e comunque e quindi attaccano. Mi dà la sensazione di un popolo infelice tutto sommato, intrappolato in una gabbia mentale.

Ovunque, lungo le strade sventolano bandiere israeliane una dopo l’altra con ossessiva ripetizione, in aeroporto sulle colonne sono dipinte bandiere come se l’identità non fosse così salda, ha bisogno della ripetizione ossessiva della stella di Davide. Mi ricorda altri regimi.

Tanti incontri, frammenti di storie che mi colpiscono, la donna israeliana Ysca Harani che ha fondato un’associazione per documentare i soprusi e raccogliere le denunce di gruppi e associazioni cristiane che hanno subito sputi, aggressioni e minacce, fisiche e verbali, da parte di estremisti religiosi e coloni. Lei, madre di due figli: uno scappato all’estero lasciando moglie e figli per evitare di essere richiamato alle armi e l’altro, vicino Gaza, che freme per andare nelle zone dei combattimenti, mi danno l’idea di ciò che dice lo storico israeliano Ilan Pappè che la società israeliana non esiste, è frammentata, Israele è “un territorio con un esercito”.

Sarah Parenzo ha fotografato la società israeliana dicendo che vige una mentalità militare di morte lontana dall’ebraismo, ci dice che il Ministro della sicurezza, Itamar Ben Gvir, non ha fatto neanche un giorno il militare, la società israeliana è al collasso come salute mentale, ci sono molti suicidi tra i soldati mutilati, non ci sono protocolli di intervento sanitario e psicologico.