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PellegriViaggio in Palestina/9

Andrea de Domenico

Gerusalemme – 13 giugno 2024

Siamo arrivati in Palestina da poche ore, abbiamo celebrato l’Eucarestia con Mons. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Mons. Zuppi, vescovo di Bologna e Presidente della Conferenza episcopale italiana, e Fra Francesco Patton, custode di Terra Santa.

Un momento di condivisione importante per iniziare con la giusta carica questo pellegrinaggio di Comunione e Pace così denso di aspettative. Da mesi viviamo a distanza con trepidazione gli ultimi tragici sviluppi di una situazione drammatica che si trascina da ormai 76 anni in questa terra martoriata che fu la terra di Gesù.

Dopo cena si può scegliere fra vari incontri, scegliamo quello con Andrea De Domenico, capo dell’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu per i Territori palestinesi occupati.

Gli abbiamo chiesto di poter ascoltare dalla viva voce di chi ci lavora ogni giorno quali sono le condizioni della popolazione civile nella striscia di Gaza in seguito ai bombardamenti indiscriminati ed in violazione del diritto umanitario che Israele sta effettuando dal 7 ottobre in poi. Proviamo a riassumere quanto Andrea ha condiviso con noi.

Nel corso degli anni Gaza è stata ripetutamente colpita da diverse aggressioni da parte dell’esercito israeliano, che, sommate al blocco totale   imposto da Israele dal 2007 (Ocha è l’unica agenzia dell’Onu che parla di BLOCCO TOTALE DI GAZA) farebbero pensare ad una situazione davvero insostenibile. Eppure, ci racconta Andrea, quando si andava a Gaza ci si sentiva accolti, (il popolo palestinese è molto accogliente e disponibile), si riusciva a lavorare in un clima di relativa serenità. Altra storia era, ed è sempre di più, il lavoro di Ocha in Cisgiordania dove si vive in costante tensione per la vicinanza dei centri abitati palestinesi con le colonie illegali che procedono con una costante erosione del territorio palestinese. Dal 7 ottobre ad oggi nei Territori palestinesi occupati sono state uccise 520 persone di cui il 25% bambini. L’occupazione israeliana avrebbe l’obbligo di mantenere l’ordine pubblico, senza l’uso di mezzi militari. Invece da alcuni anni c’è stata una deriva molto violenta che dopo il 7ottobre si è concentrata su Tulkarem, Nablus, Jenin, in maniera sempre più aggressiva e con uso sproporzionato di forza militare.

Se anche in alcune località si possono nascondere militanti di Hamas e della Jihad islamica, questo non autorizza certo ad intervenire magari bombardando con un drone una palazzina nella quale si trovano altri civili indifesi. Eppure, accade in continuazione.

In alcune zone Gaza non esiste più, continua Andrea. È diventato difficile riconoscere i luoghi, le strade, gli edifici. In gran parte rasi al suolo.

Nelle ultime 4 settimane Jabalya, cittadina sita 4 km a nord di Gaza, è stata rasa al suolo completamente, con la motivazione che vi si nascondevano militanti della jihad islamica sottoterra. Nel diritto internazionale esiste il concetto di proporzionalità. Vuol dire che in seguito ad un attacco la risposta dell’aggredito deve essere proporzionale. Ed anche prima dell’aspetto legale c’è una questione di semplice umanità. Quanti bambini ancora devono essere uccisi? Oggi (13 giugno) è stato pubblicato il rapporto annuale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sul rispetto dei diritti dei bambini nei conflitti armati. Israele è stato inserito per la prima volta nella black list dei paesi che violano questi diritti. Le motivazioni sono l’uccisione e smembramento dei bambini, la distruzione di ospedali e strutture di assistenza, l’impedimento al passaggio di mezzi di soccorso. Queste le tre motivazioni per cui Israele è stato inserito in questa lista. Nei conflitti armati, secondo il diritto internazionale, c’è l’obbligo di protezione dei bambini.

Da 17 anni a questa parte il popolo palestinese non ha più potuto decidere chi li governasse. Hamas ne ha approfittato. Eletto nel 2007 ha continuato a governare senza più limiti. Il 7 ottobre abbiamo assistito ad un atto di barbarie indicibile, il 7 ottobre Ocha è stata contattata da Israele che ha detto loro di sportarsi verso il sud di Gaza, assieme alla popolazione civile. Ocha ha quindi dovuto spostare i suoi uffici verso sud, perdendo per qualche settimana ogni capacità di operare. Dei 2.200.000 palestinesi 1.200.000 vivevano al nord. Oggi solo 350mila circa sono rimasti al nord. Gli altri si sono spostati verso Khan Younis che però, in un’operazione che doveva durare un mese, ed invece è durata 3 mesi e mezzo, è stata rasa al suolo e quei pochi edifici rimasti in piedi sono privi di finestre, solai e di qualsivoglia agibilità.

Molte famiglie si sono dovute spostare anche 7/8 volte. Ocha non è mai riuscita a trovare un equilibrio nella assistenza necessaria, sempre troppo scarsa rispetto ai bisogni. Poi Israele ha bloccato l’ingresso degli aiuti dall’Egitto cominciando a ventilare un’operazione di terra a Rafah. Famiglie intere che vivevano fra le dune di sabbia in cui Israele ha dichiarato unilateralmente zona umanitaria (l’ONU non era d’accordo a causa della mancanza di acqua, energia, infrastrutture). Le persone sono stremate. Chiedono solo il cessate il fuoco.

Israele non lancia nemmeno più gli avvisi di evacuazione, avvisi che di per se stessi non sarebbero legali per il diritto internazionale, ma ha adottato un’altra tecnica; comincia a bombardare sempre più vicino alle zone abitate.

Quasi tutti gli ospedali sono stati distrutti. È anche questa una tecnica di guerra, che viola il diritto umanitario, il quale protegge gli ospedali.

Al nord non si riesce ancora a risalire. C’è un checkpoint, se ti avvicini ti sparano. Ogni volta che un convoglio Ocha passa di là è costretto a raccogliere cadaveri.

Ormai c’è guerra fra i poveri. Si litiga per una scatola di ceci. I convogli Ocha vengono attaccati, nessuno garantisce l’ordine pubblico. I bambini da 8 mesi ormai, non vanno a scuola, ma non si può portare loro materiale ricreativo (figurarsi educativo) perché non è umanitario.

Il lavoro dell’OCHA non si limita a quello, importantissimo, dell’assistenza umanitaria. Essa svolge anche un prezioso lavoro di mappatura dell’evoluzione della situazione nei Territori palestinesi occupati.

Queste progressive modifiche, dovute alla costante erosione di territorio palestinese in favore delle colonie israeliane (illegali non solo per il diritto internazionale ma anche secondo alcune leggi israeliane) riguardano la vita quotidiana dei palestinesi, la limitazione sempre maggiore del movimento, l’incredibile trasformazione che Gerusalemme sta vivendo a causa della confisca progressiva di abitazioni palestinesi da parte di coloni. Anche a Gerusalemme Est.

L’occupazione è progredita prendendo un pezzetto di territorio alla volta. A macchia di leopardo. La Palestina di oggi ormai è un arcipelago.

Gli accordi di Oslo hanno diviso il territorio palestinese in tre zone:

  • A controllo totale palestinese
  • B controllo civile palestinese e militare israeliano
  • C controllo totale israeliano

Questo ginepraio di complessità deve essere mappato per essere compreso. E quindi veniamo invitati a scaricare queste mappe in formato pdf dal sito OCHA OPT

Un altro fenomeno preoccupante è la violenza dei coloni. Che viene definita persino da associazioni umanitarie israeliane come violenza di stato. Le colonie illegali iniziano come avamposti (qualche baracca di lamiera non degna di nota) che poi vengono subito forniti di acqua ed energia, e trasformati in veri e propri edifici in men che non si dica.  Saranno anche sponsorizzate dagli ebrei della diaspora, ma sicuramente lo Stato di Israele interviene prontamente per rendere gli avamposti rapidamente colonie.

Si continua a ventilare la soluzione di due popoli per due stati, mantra vecchio come il mondo. Ad oggi all’interno del consiglio di sicurezza dell’ONU non si prospetta alcuna alternativa a questa formula. Gli accordi di Oslo dovevano durare 5 anni e siamo nel trentesimo anno. L’unica alternativa sembra essere la guerra.

 La soluzione due popoli due stati non ha ormai più alcuna possibilità di realizzazione, sia per quello che dicevamo sull’arcipelago palestinese (come può uno stato essere composto da tante isolette scollegate fra loro?) sia perché, dopo il 7 ottobre nulla è più come prima.

La sofferenza generata dai circa 37000 morti a Gaza (dei quali il 62% donne e bambini, intere famiglie distrutte) non potrà mai cancellare. E genererà nuova sofferenza. Sappiamo che i bambini che vivono traumi importanti se non sono curati immediatamente riportano danni psichiatrici irreversibili. I bambini che sopravviveranno a Gaza (che hanno visto cose orribili) saranno la generazione di palestinesi di domani. Hamas 2.0. E quanto sta accadendo lo pagheremo tutti, noi stati, europei e non solo, che abbiamo permesso che accadesse, oltre ad Israele.

Chiudiamo con un’immagine che ci ha proposto Andrea, ricordo di una delle ultime volte che è entrato a Gaza: una giovane donna con dei bellissimi occhi azzurri, fuggita dal suo villaggio con i suoi 4 bambini, dopo che le hanno ucciso il marito e distrutto la casa gli ha chiesto semplicemente dei pannolini, purtroppo in quel momento non ce n’erano.

Alla fine dell’incontro in tanti ci chiediamo se sarà possibile una soluzione che non preveda ulteriore morte e distruzione, se l’umanità potrà un giorno prevalere sulla disumanizzazione alla quale stiamo assistendo da troppo tempo. La risposta di Andrea è che ognuno degli stati membri delle Nazioni Unite deve fare la sua parte, così come ognuno di noi nel suo piccolo, anche solo parlando, informando, raccontando. L’OCHA resiste e prosegue nel suo prezioso lavoro. È nostro dovere sostenerla con ogni mezzo possibile. Restiamo umani.

Rossana Lignano e Nandino Capovilla

Campagna Ponti e non muri – Pax Christi Italia