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Potreste trovarvi di fronte alle ultime opere sopravvissute degli artisti di Gaza

Fonte: https://www.972mag.com/gaza-artists-exhibition-war

Articolo pubblicato originariamente su +972 Magazine e tradotto dall’inglese dalla redazione di Bocche Scucite

Una mostra in Cisgiordania cerca di catturare e contrastare la cancellazione della vita e della cultura palestinese a Gaza, anche se i suoi artisti vengono uccisi.

In una grande sala, un’illuminazione fioca proietta lunghe ombre su un cumulo di macerie, mentre il ronzio incessante dei droni riecheggia tutt’intorno. Questo è il cupo benvenuto per i visitatori che entrano in una mostra attualmente in corso al Museo palestinese, nella città di Birzeit, nella Cisgiordania occupata.

“This is Not an Exhibition”, che durerà fino ad agosto, presenta circa 300 opere di artisti gazawi. Camminare per la sala è una specie di sovraccarico sensoriale, che trascina i visitatori tra stimoli visivi e uditivi. I dipinti si affollano l’uno intorno all’altro senza un ordine particolare sulle pareti scure color indaco del museo, evocando il caos della devastata scena artistica palestinese di Gaza.

Le opere, raccolte a partire da dicembre da gallerie, istituzioni e collezionisti di tutta la Palestina, sono una testimonianza della produzione culturale di Gaza nel suo momento più buio. Alcuni degli artisti sono stati uccisi negli ultimi mesi dai bombardamenti di Israele. Alcuni sono riusciti a fuggire dalla Striscia assediata. La maggior parte di loro è attualmente sfollata al suo interno.

La mostra è un tentativo di catturare e contrastare quella che gli organizzatori descrivono come la “cancellazione” della vita e della cultura palestinese a Gaza. Questo include la distruzione delle due gallerie d’arte contemporanea della Striscia: Eltiqa, nel centro di Gaza City, è stata distrutta da un attacco aereo israeliano a dicembre, mentre Shababeek, che si trovava in un vecchio edificio vicino all’ospedale Al-Shifa, è stata ridotta in macerie quando l’esercito israeliano ha posto l’assedio al complesso ospedaliero e a gran parte dell’area circostante a marzo. Agli artisti di entrambe le gallerie, quasi tutti sfollati a causa della guerra, è stato concesso uno spazio nel Museo palestinese per esporre le loro opere.
“L’intera scena artistica, le sue persone, le sue produzioni e i suoi spazi sono stati profondamente colpiti dalla devastazione della guerra”, ha lamentato Sharif Sarhan, direttore di Shababeek, che ha parlato con +972 da Parigi, dove si trovava prima dello scoppio della guerra e dove è rimasto. La maggior parte delle opere d’arte ancora presenti a Gaza è stata distrutta o danneggiata dagli attacchi israeliani, oppure è stata saccheggiata dai residenti alla disperata ricerca di materiali da bruciare. “Potreste trovarvi di fronte alle ultime opere sopravvissute prodotte dagli artisti di Gaza”, ha aggiunto Sarhan.

Non ci sarà una prossima volta
L’ultima opera d’arte della mostra ad essere fuggita da Gaza è stata procurata pochi giorni prima dell’inizio della guerra. Il 3 ottobre, Chris Whitman, un operatore umanitario che vive a Kufr Aqab, alla periferia di Gerusalemme, ha lasciato la Striscia con un’opera su cui aveva messo gli occhi da tempo.

“Nell’estate del 2021, mi sono imbattuto in un tesoro: la mia prima opera della talentuosa Heba Zagout”, ricorda Whitman. Intitolato “Jenin”, il dipinto raffigura un cactus sabr accanto a un gruppo di case al tramonto, che Zagout aveva completato all’inizio di quell’anno. “Riesco ancora a sentire l’emozione di quell’incontro e la conversazione che abbiamo avuto sugli ostacoli da superare per portare a Gaza tele e colori di qualità”. Ad ogni successivo invio nella Striscia assediata, il legame di Whitman con l’arte di Zagout si è approfondito.

Tra le sue creazioni spicca un’opera intitolata “Asdood”, il nome arabo di quella che oggi è la città israeliana di Ashdod. L’opera ritrae diverse scene di vita della città prima della Nakba del 1948, quando centinaia di famiglie palestinesi, tra cui quella di Zagout, furono espulse dalla zona. Il dipinto mescola le storie di Asdood che Zagout ha ascoltato dalla nonna con le sue visioni artistiche, dato che non ha mai potuto visitare la città. Su un lato, si vede la stessa Zagout camminare verso il mare.

Sebbene il dipinto abbia attirato l’attenzione di Whitman nel febbraio dello scorso anno, egli non poteva permetterselo. “A giugno, Hiba mi ha gentilmente offerto uno sconto e ha tenuto il dipinto per me in previsione del mio ritorno a Gaza”, ha spiegato.

Il 3 ottobre, Whitman si è recato alla scuola elementare dove insegnava Zagout ed è riuscito a parlarle per 15 minuti durante una pausa tra le lezioni. Quando Zagout ha srotolato il quadro, Whitman se ne è innamorato di nuovo e lo ha portato con sé fuori da Gaza quel giorno. Non sono riusciti a scattarsi un selfie, ha detto Whitman, perché Zagout voleva tornare di corsa dai suoi studenti. “Ha detto: “La prossima volta”, ma non ci sarebbe stata una prossima volta”.

Quattro giorni dopo, Hamas ha attaccato il sud di Israele ed è iniziato l’assalto israeliano che ha devastato gran parte di Gaza e della sua comunità artistica. Il 13 ottobre, solo 10 giorni dopo aver visto Whitman, Zagout è stata uccisa in un attacco aereo sulla sua casa nel campo profughi di Al-Bureij, nel centro di Gaza. Aveva 39 anni. Due dei suoi figli sono stati uccisi insieme a lei e la maggior parte dei suoi dipinti sono stati distrutti nella casa.

Maysa, sorella di Zagout, ha raccontato a +972 che i due figli più piccoli dell’artista – Adam, 10 anni, e Mahmoud, 6 – sono stati estratti senza vita da sotto le macerie della loro casa. La stessa Zagout è ancora lì: la testa e le mani sono state staccate dal corpo, ha spiegato Maysa, ma “non siamo ancora riusciti a estrarre l’intero corpo da sotto le macerie per seppellirlo”.

Un progetto vivente
Solo quattro dei dipinti di Zagout e il suo album di ritagli sono sopravvissuti all’attacco aereo, anche se tutti sono stati danneggiati da macerie, polvere, schegge e macchie di sangue, ha spiegato Maysa. “Hiba ha vissuto ed è morta ad Al-Bureij. Era una persona felice, nonostante la sua vita dura. Si riposava un po’ dopo il lavoro a scuola, poi andava al suo banco di pittura e disegnava, quasi ogni giorno, prima di pubblicare le sue opere online per trovare un acquirente”.

I due dipinti che Whitman si procurò per la sua casa, ciascuno raffigurante una diversa città palestinese, sono le uniche testimonianze rimaste intatte della vita e del lavoro di Zagout. Ora sono appesi alla parete color indaco del Museo palestinese di Birzeit, insieme a decine di altre opere sopravvissute alla devastazione della scena artistica di Gaza.

Anche altri cinque artisti, le cui opere sono esposte nella mostra, sono stati uccisi durante l’assalto di Israele alla Striscia. Nonostante questo scenario di morte e rovina, la mostra rimane un progetto vivo. Il numero di opere esposte ha superato le 300, e presto ne arriveranno altre da varie istituzioni e collezionisti, anche senza che il museo abbia lanciato un appello. Alcuni di essi non sono datati perché i blackout delle comunicazioni hanno impedito ai curatori di contattare gli artisti.

“This is Not an Exhibition” serve quindi a ricordare il ruolo vitale dell’arte nel preservare la memoria e testimoniare la storia. Nonostante sia stata limitata a poche decine di chilometri quadrati per quasi due decenni, la comunità artistica di Gaza – in particolare a Gaza City – è stata straordinariamente prolifica. La mostra immortala questa eredità e potrebbe essere vista, almeno per quegli artisti che sopravvivono alla guerra, come un’illuminazione del suo futuro.

Alcune opere sono state create utilizzando materiali non convenzionali. Un dipinto a olio ritrae le macerie di una casa; a un’analisi più attenta, la tela – che può essere difficile da reperire a Gaza – è la stessa spessa tela bianca usata per i sudari funebri.

L’effetto della mostra sul visitatore è coinvolgente e quasi vertiginoso. “Lascia un’impressione duratura, confondendo i confini tra le diverse espressioni artistiche e invitando a un impegno più profondo con le opere”, ha dichiarato a +972 Magazine Suhad Awad, uno storico in visita al museo all’inizio di maggio. “Mi fa sentire come se fossi a Gaza”.