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Ricercatori per il boicottaggio delle Università Israeliane

Come forse saprete dalla stampa, in varie università gli studenti stanno manifestando per chiedere la sospensione delle relazioni con le università israeliane. Questo è inteso come mezzo per fare pressione sul loro governo al fine di giungere ad un “cessate il fuoco”, analogamente a quanto è accaduto negli USA e in altri paesi europei. A febbraio abbiamo pubblicato una lettera inviata da un gruppo di ricercatori, Comitato per la sospensione del bando “Maeci” (Ministero Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), che chidevano la stessa cosa.

Giovedì 23 maggio, c’è stata una riunione della CRUI (Conferenza dei Rettori Università Italiane) a Roma, dove sono state portate le richieste degli studenti. La CRUI ha chiesto formalmente il cessate il fuoco ma ha declinato ogni richiesta di sospensione dei rapporti con gli omologhi israeliani adducendo come ragione la necessità di mantenere aperti i rapporti fra studiosi in quanto le università sono luoghi di elaborazione del pensiero e devono essere tenuti fuori da queste vicende.

Ricordiamo, en passant, che nel caso Russo-Ucarino i rapporti sono stati subito interrotti ed è anche quasi impossibile incontrare ricercatori russi ai congressi, soprattutto in Italia. Al link seguente potete trovare il Comunicato della CRUI:

https://www.crui.it/archivio-notizie/cessate-il-fuoco.html

Qua sotto la risposta data dal “Comitato per la sospensione del bando “Maeci” (Ministero Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), che contiene una “analisi critica” del comunicato CRUI, e che spiega come questo comunicato è carente nell’analisi della situazione israeliana, dove le università non sono liberi luoghi di discussione ma sono piuttosto luoghi dove viene costruito l’appoggio del paese all’esercito e all’occupazione militare della Palestina, e ora alla guerra – e dove i pochi  accademici dissenzienti vengono emarginati, censurati, licenziati o arrestati, come in una dittatura, e non in una democrazia.

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Roma, 24 maggio 2024

Comunicato del comitato estensore della lettera per la sospensione del bando MAECI sulla dichiarazione della CRUI “Cessate il fuoco” del 23 maggio 2024

Come docenti e personale delle università italiane, apprendiamo della dichiarazione della CRUI del 23 maggio 2024 enfaticamente intitolata “Cessate il fuoco” con sentimenti contrastanti. Da un lato, ci rallegriamo della richiesta di cessate il fuoco, e parimenti dell’enfasi posta sulla necessità di aiutare i colleghi/e e le e gli studenti palestinesi. Dall’altro lato, ci chiediamo perchè delle posizioni tanto elementari e imprescindibili come chiedere la protezione della vita umana in una situazione definita già a gennaio 2024 dalla Corte di Giustizia Internazione come un “plausibile” genocidio e da sempre più esperti come un genocidio, abbia necessitato di tanto tempo e tanti tentennamenti. Ci chiediamo perché la semplice richiesta di proteggere la vita umana in una situazione di evidente disequilibrio di forze, abbia necessitato l’occupazione di tante università, dell’intervento anche violento delle forze dell’ordine contro gli studenti, di tante campagne di denigrazione verso colleghe/i e studenti a mezzo stampa, di tanto lavoro e, da parte della CRUI, tanta indifferenza fino ad oggi.

Apprendiamo che la richiesta di interrompere le collaborazioni istituzionali con le università e i centri di ricerca israeliani viene non solo non accolta, ma, noi crediamo, non capita. La CRUI sembra continuare a pensare che l’accademia israeliana sia un “luogo libero e pacifico, dove il confronto anche aspro di tesi avverse utilizza l’argomentazione razionale, mai la violenza”. Ci chiediamo se i membri della CRUI siano a conoscenza delle molteplici situazioni in cui gli stessi rettori di università israeliane hanno denunciato docenti con posizioni contrarie all’assalto militare, presso le autorità giudiziarie e di polizia. Un caso eclatante, ma non unico, è quello della collega Nadera Shalhoub-Kevorkian, prelevata nella sua casa di Gerusalemme, di notte, come una criminale, e arrestata per le sue opinioni. Tra gli altri, anche la professoressa Nurit Peled (David Yellin Academic College of Education, premio Sakharov per la Libertà di Pensiero nel 2001 dal Parlamento europeo) e il professor Uri Horesh (Achva Academic College) sono stati sanzionati (Horesh licenziato) per le loro posizioni critiche del governo Netanyahu. Ci chiediamo se la CRUI abbia avuto notizia dell’indefesso sostegno che tutti gli atenei, nessuno escluso, hanno professato per l’esercito israeliano, la continuazione dell’attacco e per il governo in carica – governo in cui siedono due persone che, a breve, potrebbero essere oggetto di mandati di arresto internazionali. 

Ci chiediamo se la CRUI abbia avuto notizia della totale distruzione delle strutture educative nella Striscia di Gaza, dei cento e oltre colleghi e colleghe (e di oltre 5000 studenti) uccise dalle bombe che i rettori israeliani professano di sostenere. Di fronte a questo scenario, all’inazione della comunità internazionale e dei nostri governi, sosteniamo la richiesta dei nostri colleghi e colleghe palestinesi, i quali ci chiedono di fare pressione sulle istituzioni israeliane attraverso l’interruzione delle collaborazioni istituzionali con le università di quel paese. Nel fare questo, siamo solidali con le colleghe e i colleghi colpiti da provvedimenti disciplinari ingiusti in Israele: mettiamo in evidenza come la loro repressione (perpetrata dalle autorità universitarie stesse) sia un modo per indebolire la costruzione di spazi di dissenso, di pratiche trasformative e di alleanza tra colleghe/i e studenti palestinesi e israeliani anti-sionisti e dissidenti.

L’interruzione dei rapporti istituzionali con le università israeliane è uno strumento non violento che ha oltre vent’anni di storia ed è sostenuto da numerose illustri colleghe e colleghi nel mondo, come Judith Butler, nonché adottato da importanti organizzazioni professionali, come l’American Anthropology Association, la British Middle East Studies Association, l’American Studies Association, l’Association for Asian American Studies, l’Association for Humanist Sociology, e altre. Si tratta di un mezzo – e non di un fine – volto a mettere pressione sulle istituzioni israeliane perché si ottenga il rispetto della legge internazionale, che prevede la fine dell’occupazione, della colonizzazione dei Territori occupati e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi del 1948 e successivamente, e il rispetto del diritto umanitario, oggi tanto eclatantemente usurpato dall’esercito israliano. 

L’interruzione dei rapporti accademici non significa l’isolamento dei colleghi e colleghe in Israele che lottano contro le scelte del proprio governo. Il dialogo con i colleghi è una risorsa che coltiviamo attraverso la ricerca, le pubblicazioni e l’impegno comune. Nessuno impedisce loro di partecipare a convegni o ricevere inviti, come dimostrato dalle molteplici occasioni di confronto organizzate da molti di noi in questi mesi, che hanno visto colleghi e colleghe israeliane parlare e partecipare. 

Inoltre, in Italia non è sufficientemente diffusa la conoscenza del ruolo delle università israeliane nell’industria militare: dalla messa a punto di nuove armi e tecnologie di guerra, poi testate sulla popolazione palestinese (come il Technion), alle tecnologie di sorveglianza (come Pegasus, usato da regimi autoritari arabi per colpire gli attivisti per i diritti umani e dagli stessi governi europei) allo sviluppo di teorie volte a giustificare lo spossessamento della popolazione palestinese e l’uso sproporzionato di violenza contro di essa (come le innovazioni in capo legale, contrarie al diritto umanitario internazionale come dimostrano Noura Erakat e Lisa Hajjar, messe a punto dall’Institute for National Security Studies e dall’Universita di Tel Aviv, con cui Med-Or ha formato un protocollo di intesa a marzo 2023). Come dimostra Maya Wind nel suo lavoro (si veda il suo libro “Towers of Ivory and Steel: How Israeli Universities Deny Palestinian Freedom” del 2024), le istituzioni accademiche sono un tassello fondamentale nel mantenere e avanzare l’occupazione e la violenza strutturale a cui i palestinesi sono sottoposti nei Territori Occupati e nello stesso Israele. Ciò mentre i colleghi e studenti palestinesi sono sistematicamente privati del loro diritto a una vita accademica degna di questo nome. In ragione di quanto indicato, affermare di voler “Proseguire la collaborazione scientifica con le università straniere di ogni Paese” perché “Interrompere gli accordi con le università significa (…) rigettare l’importanza di luoghi di riflessione, pensiero critico e confronto costruttivo”, ripetendo che “Scienza e cultura sono garanzia di liberi spazi di dialogo anche nella differenza di opinioni e visioni”, suona come un principio vuoto, generico, indifferente a quanto esperti e organismi internazionali ripetono da mesi; o peggio, un pericoloso e intenzionale occultamento della realtà della vita accademica e della ricerca in Israele.

In secondo luogo, ci rallegriamo dell’impegno a sostenere colleghe/i e studenti palestinesi attraverso misure di accoglienza e programmi dedicati. In questi mesi di mobilitazioni, abbiamo sviluppato una conoscenza significativa in materia di finanziamenti, possibilità di sostegno economico e regimi di mobilità internazionale. Alla luce di tale expertise, temiamo che l’impegno preso dalla Conferenza dei Rettori possa essere più un wishful thinking che altro. Ci chiediamo quante risorse siano state messe a disposizione per l’attuazione di questi aiuti e come vi si possa accedere. Ci auguriamo che gli aiuti promessi siano più concreti e fattibili della didattica a distanza, difficilmente praticabile nella Striscia di Gaza dove il 70 percento degli edifici è inagibile e la connessione Internet è sovente non disponibile. Restiamo a disposizione per mettere le nostre conoscenze al servizio dell’attuazione e dell’implementazione di programmi seri di sostegno dedicati, in collaborazione, come in realtà già facciamo, con le organizzazioni mobilitate.

Infine, ci pare importante la volontà di intraprendere un percorso, che speriamo serio, di riflessione sull’etica della ricerca. Anche in questo campo, abbiamo a disposizione una vasta conoscenza ed expertise, pre-esistente e accumulata in questi mesi di lavoro. A fronte delle insistenze affinché il sistema europeo e nazionale dei finanziamenti alla ricerca accolga sempre più facilmente anche progetti di ricerca a uso non civile, segnaliamo la nostra enorme preoccupazione e la nostra disponibilità a far parte di tavoli di lavoro nazionali e/o di ateneo sul tema.