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100 anni di Danilo Dolci: un quartetto per la pace

Mauro Innocenti

Il Centro Studi Economico Sociali di Pax Christi ha organizzato lo scorso 5 ottobre presso l’Abbazia di S. Salvatore e S. Lorenzo a Settimo (frazione del comune di Scandicci, vicino a Firenze) un seminario di studio su Danilo Dolci, in occasione del centesimo anniversario della sua nascita.

Francesco Cappello, insegnante e attivista siciliano che ha frequentato a lungo Dolci e ne ha raccolto l’eredità e acquisito il metodo, ha ricordato la figura del sociologo, poeta ed educatore, arrivato in Sicilia nel 1952 dopo aver anche collaborato con don Zeno Saltini a Nomadelfia quando la comunità aveva ancora sede in quello che era stato il campo di concentramento di Fossoli (Carpi, MO).

Dolci si stabilì e operò a Trappeto e Partinico (in provincia di Palermo), allora centri agricoli che erano caratterizzati da povertà, emigrazione, dispersione scolastica, analfabetismo e disoccupazione e che subivano la presenza opprimente della mafia. In una terra dimenticata dallo Stato e dalla politica cominciò a praticare azioni di denuncia e attività di animazione sociale e politica, che conquistarono una fama internazionale. La scelta incondizionata della nonviolenza valse a Danilo Dolci l’appellativo di “Gandhi della Sicilia”; per Dolci la nonviolenza era un metodo politico, la “terza via”, la democrazia dal basso, da costruire attraverso i “cerchi maieutici”, basati sull’arte dell’interrogarsi reciproco, dell’autoanalisi popolare, un metodo particolarmente apprezzato da Aldo Capitini, che aveva realizzato i COS (Centri di Orientamento Sociale) e che tenne con Dolci un ricco carteggio.

Fra le tantissime azioni eclatanti da lui realizzate è particolarmente conosciuta l’organizzazione dello “sciopero alla rovescia”: se gli occupati possono protestare facendo sciopero, i disoccupati possono farlo solo praticando il loro diritto al lavoro; lo sciopero impegnò numerosi disoccupati nella rimessa in sesto di una strada comunale di Partinico; Dolci fece resistenza all’intervento della polizia, a cui era stato ordinato di impedire l’occupazione del suolo pubblico, e per questo fu arrestato. Nel processo che seguì Dolci fu difeso anche da Piero Calamandrei e a suo favore si espressero numerosi intellettuali italiani e stranieri; fu condannato a 50 giorni di carcere, ma il processo ebbe un rilievo mediatico molto grande e rappresenta ancora oggi un evento fondamentale nella storia della nonviolenza in Italia e della generale presa di coscienza sulla realtà dell’abbandono delle zone più povere del Mezzogiorno.

Pietro Giovannoni, che ha ripercorso la vicenda di padre Ernesto Balducci, Sergio Tanzarella, che ha tratteggiato la storia di don Lorenzo Milani, e Marco Giovannoni, che ha ricordato la figura di Giorgio La Pira, hanno permesso di ricostruire la forse irripetibile congiunzione di intelligenze e di appassionati impegni personali che caratterizzò l’Italia, e in particolare l’area di Firenze, negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso con figure di intellettuali, politici e uomini di Chiesa che con Danilo Dolci dialogarono ed “entrarono in risonanza”, attuando sempre scelte di nonviolenza.

Nel pomeriggio Francesco Cappello ha sperimentato in un laboratorio il “metodo maieutico” di Danilo Dolci; fra le persone che hanno partecipato c’erano anche alcune studentesse di scuola superiore, accompagnate dall’insegnante che le ha introdotte e appassionate al tema della giornata, che hanno parlato dei loro sogni, freschi e grandi, che si sono confrontati con i sogni degli altri partecipanti, adulti e anche “molto adulti”: applicando l’insegnamento di Dolci, Cappello ha proposto un percorso che parte dal basso e dal sentire delle singole persone e non basato invece su soluzioni predefinite: un percorso, appunto, maieutico.

La giornata si è conclusa con una recita di Angelo Maiello, che ha raccontato la storia di don Milani, utilizzando alcuni dei testi più provocanti e profetici del priore di Barbiana.

L’Abbazia di S. Salvatore e S. Lorenzo a Settimo (o più semplicemente la Badia a Settimo), che ha ospitato il seminario del Centro Studi, è stata in gran parte restaurata ma è ancora bisognosa di lunghi e importanti interventi. Il priore (parroco) don Carlo Maurizi e gli aderenti all’Associazione Culturale “Amici della Badia di Settimo” sono impegnati da lungo tempo nello sforzo per arrivare all’integrale recupero dei fabbricati dell’antica e importantissima abbazia, che fu dei benedettini cluniacensi e poi dei vallombrosani e dei cistercensi. Oggi l’abbazia, che formalmente è una semplice parrocchia, è un grande e prezioso contenitore che si sogna possa ritornare ad essere un giorno sede di una comunità monastica. Già oggi e in ogni caso, qualunque potrà essere il futuro della Badia a Settimo, devono essere “inventate”, insieme ad altri compagni di viaggio, occasioni di valorizzazione e di rivitalizzazione dei preziosi ambienti della storica abbazia. Il Centro Studi di Pax Christi vi ha portato un suo seminario; gli aderenti e gli amici di Pax sono stati chiamati a riscoprire Danilo Dolci e a scoprire una perla architettonica di grandissimo valore. Anche il sottoscritto, fiorentino di nascita, pur sapendo da sempre della sua esistenza e della sua importanza l’ha visitata per la prima volta!